Food » Pizza Formamentis: cambiamo la forma mentis sulla pizza

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Pizza Formamentis è stata la due giorni conclusasi ieri a Napoli. Il primo Convegno Scientifico sulla Pizza (si mangiava? NO! si faceva cultura? SI), con interventi di pizzaioli sì, ma anche di critici enogastronomici, docenti universitari, rappresentanti delle associazioni di categoria. Un successo, in termini di presenze, contenuti e risultati.

Per me una grande occasione: il vero corto circuito tra il food, il web e la tv (nel senso più ampio di media) che sono poi le mie tre anime, la sfida di questo blog, che tratta il food con divertimento, ma con rispetto e serietà; il web in maniera professionale e i media con attenzione e cura.

Perchè si è parlato del futuro della pizza, dalla possibilità di dover fare a meno del forno a legna, in futuro, senza dover rinunciare all’eccellenza della pizza napoletana, che per il momento è legata imprescindibilmente alla sua tecnica di cottura tradizionale. Il dibattito è stato acceso e suffragato da studi scientifici, tra cui quello del prof. Paolo Masi, che con la pubblicazione scientifica sulla pizza ha dimostrato che la legna nulla trasferisce alla pizza, ma che sono le modalità di cottura particolari relative a gradi tempi e modalità che le conferiscono un valore aggiunto. (teoricamente, quindi, replicabili).

Ho ascoltato la prof.ssa Elisabetta Moro introdurre la pizza come sintesi della dieta mediterranea, e non c’è bisogno di ricordare che la dieta mediterranea è al momento, la maggiore possibilità di prevenire una serie di malattie gravi come il cancro.

Se ci fosse per questo evento una nuvola di parole più utilizzate, quelle di “formazione” e “cultura” sarebbero sicuramente le più grandi, spiccherebbero gigantesche persino su “forni”, “ingredienti”, “cottura”, “brand” “Napoli”, che pure sono state parole molto frequenti.

“Formazione” perchè occorre stabilire passi certi per la formazione dei pizzaioli, replicabili, validi, affiancati da un reale impegno nelle pizzerie e dalla nascita -forse- di figure professionali ancora più specialistiche (il pizzaiolo chef che cura gli abbinamenti, il pizzaiolo fornaio addetto alle cotture, il pizzaiolo che realizza gli impasti, per esempio) ed esportabili.

“Cultura” perchè se la pizza è non più un cibo, ma un “bene”, un simbolo del brand Napoli, allora va esportata in maniera razionale, accompagnandola oltre che a grande qualità a grande conoscenza.

Di tutto questo devono occuparsi giornalisti, gastronomi, critici, pizzaioli stessi (che pure, va detto, sono una categoria artigiana ammirevole perchè si evolve, studia, fa squadra, si confronta, prova a migliorarsi sempre) ma soprattutto di cultura e formazione dovrebbero occuparsi gli enti e le istituzioni deputate a farlo: le Università, gli Enti Locali, il Sistema Scolastico.

Io che della Formazione e nella Cultura mi cibo (in senso non solo figurato) raccoglierò i tanti stimoli di questo convegno, e proverò a farli miei. (e speriamo che presto buone cose nascano e si possano annunciare…)

 

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